La documentazione è, risaputamene, un’attività strettamente legata alla valutazione, come viene anche affermato nelle Indicazioni Nazionali del 2012: “Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali.”[1]
Sapendo questo, possiamo effettuare una prima distinzione:
Anche le Indicazioni Nazionali riconoscono la documentazione dei processi di crescita come uno strumento valido e funzionale alla valutazione formativa: “L’attività di valutazione nella scuola dell’infanzia risponde ad una funzione di carattere formativo, che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità.”[2] Puntare ad una valutazione formativa, come afferma la pedagogista Brenda Fyfe (in Edwards, Gandini, Forman, 1993), permette all'insegnante di individuare ciò che è già stato appreso e ciò che il bambino sta apprendendo. Carla Rinaldi sostiene che la documentazione sia “un anticorpo estremamente forte per difenderci dalla proliferazione di strumenti di valutazione sempre più anonimi, decontestualizzati e solo apparentemente obiettivi e democratici.”[3] La valutazione, come abbiamo visto, può essere sommativa (finalizzata al prodotto) o formativa (finalizzata al processo), ma anche formale o informale.
A questo punto risulta fondamentale citare l’approccio di Reggio Emilia, nato dall’esperienza del pedagogista Loris Malaguzzi, in cui il percorso di apprendimento svolto a scuola assume pieno significato per gli attori coinvolti solo se può essere rievocato, ricostruito e riesaminato. In questo approccio, infatti, “il percorso educativo si rende concretamente visibile attraverso un’attenta documentazione dei dati relativi alle attività.”[5] In questo modo si può mettere al centro il protagonismo riflessivo dei bambini e garantire loro il diritto di essere costruttori della propria conoscenza, aspetto fondante del Reggio Approach. La valutazione, se tradizionalmente intesa, è una procedura che determina se il bambino abbia raggiunto o meno una specifica abilità: la documentazione non può essere considerata una misurazione di abilità, quanto più delle tracce di apprendimento in divenire, che possono essere oggetto di riflessione e interpretazione. Rinaldi (Project Zero, 2009) sostiene che la valutazione nasca dove c’è uno sguardo che dà valore alle procedure e ai processi dei bambini, e la sua funzione sia proprio quella di rendere visibili questi elementi che si rendono espliciti nella documentazione. La documentazione, quindi, aiuta l’insegnante nell'individuazione di ciò che dell’esperienza ha valore e che non può essere deciso a priori. Questo aspetto viene trattato anche da Fyfe (in Edwards, Gandini, Forman, 1993): una valutazione viene tradizionalmente considerata efficace se in linea con gli obiettivi standard di apprendimento. L’approccio reggiano, piuttosto, invita gli insegnanti a non “imporre un quadro di analisi prestabilito, che potrebbe limitare a priori il modo in cui interpretiamo e utilizziamo la documentazione con i bambini”, e li incoraggia invece a mantenere una visione aperta, una mente “capace di guardare oltre l’apprendimento che può essere anticipato o progettato, e al di là degli obiettivi del curriculum.”[6] Scritto da: Miria Biasizzo Prosegui con la lettura... Letture consigliate:
[1][2] www.indicazioninazionali.it/ [3] Rinaldi C. in Malavasi, L., Zoccatelli, B. (2012), Documentare le progettualità nei servizi e nelle scuole per l’infanzia, Edizioni Junior-Spiaggiari, Parma. [4][6] Fyfe B, in: Edwards C., Gandini L., Forman G. (1993) I cento linguaggi dei bambini. L’approccio di Reggio Emilia all’educazione dell’infanzia. Edizioni Junior-Spiaggiari, Parma. [5] Carla Rinaldi in Project Zero - Reggio Children (2009), Rendere visibile l’apprendimento, ed.or.2001, Reggio Children
0 Commenti
Lascia una Risposta. |